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Il feticismo (prima parte)
di Sadsong
inserito da Sadsong - 13/12/2008 - Letto 3277 volte.
Da wikipedia:
In etnologia si definisce feticismo una forma di religiosità primitiva che prevede l'adorazione di feticci, ovvero di oggetti - spesso manufatti antropomorfi o zoomorfi - ritenuti dotati di poteri magici.
Il termine di fétichisme fu impiegato per la prima volta dal magistrato francese Charles de Brosses nel 1760.
Il feticismo dagli antropologi evoluzionisti era ritenuto come uno degli stadi più primitivi della religiosità umana, ed era considerato una variante dell'animismo: in realtà si è visto in seguito come le due pratiche religiose si distinguano sotto numerosi aspetti.
Attualmente la definizione di "feticcio" viene usata in modo particolare per quegli oggetti considerati carichi di potenza sacra nell'ambito dei culti dei nativi dell'Africa occidentale.
Altri significati [modifica]
• Nel XIX secolo Karl Marx introdusse il concetto di feticismo della merce come importante componente del capitalismo. Tale concetto è ancora oggi centrale nel marxismo.
• In seguito Sigmund Freud (sulla scia di sessuologi del XIX secolo come Alfred Binet e Richard von Krafft-Ebing) usò il termine feticismo per descrivere una forma di parafilia dove la meta del desiderio è un oggetto inanimato o una parte specifica della persona; vedi feticismo (sessualità).


Ho voluto postare subito la definizione di feticismo che da wikipedia perché di questi tempi è il pozzo da cui attingono tutti per poi elaborare le proprie teorie che si risolvono, nel più dei casi, in un soggettivismo imbarazzante e perché mi sembrava inutile ribadire, con parole mie, ciò che è rintracciabilissimo sul web. Fatto questo posso iniziare più serenamente una serie di riflessioni che cercano di andare oltre la sintetica definizione.

Cos’è il feticismo per noi, per noi appassionati, praticanti, curiosi del BDSM? Spesso accade che nel nostro “piccolo mondo antico” (troppo antico a volte) le parole, che dall’universalità linguistica che le caratterizza (ma non le fissa, chiaramente, anche se questo non può certo dare adito a certe reazioni a catena semantiche che si sono viste sul web) declinino il loro senso verso connotazioni piegate al soggettivismo di chi le usa. Non c’è un feticismo per i sadomasochisti, uno per gli amanti del fetish, uno per i famolostranisti, c’è il feticismo e basta, che poi prende diverse forme a seconda del contesto in cui può svilupparsi.

Come spesso faccio, ma come anche i dati stessi mi costringono a fare, quando parlo o scrivo di erotismo non posso fare a meno di dimenticare il suo inestricabile nesso col linguaggio religioso, che chiamerei parallelismo se non fosse che le due rette, l’erotica e la religiosa, non sono affatto parallele, ma spesso si intersecano. Come dalla definizione di wikipedia vediamo che i primi usi del termine furono fatti nell’ambito dello studio delle religioni, ricordo in particolare l’opera sulla fenomenologia delle religioni di Von del Leeuw che ne parla parecchio e forse per la prima volta in maniera esaustiva. Da un punto di vista semiologico il feticcio è ciò che sta al posto di, non è un simbolo propriamente detto (il simbolo rimanda ad altro stando chiuso in sé stesso, il feticcio non è un segno chiuso, ma allude, diremmo, semplicemente, il simbolo racchiude una totalità che gli preesiste, il feticcio aiuta a comprenderla nelle sue parti, ad immaginarla per gradi, a crearla addirittura), ma un segno sostantivante un’assenza, contraddizione in termini direte voi? Precisamente, questa era la contraddizione che già ostentava Bruno Latour (antropologo, il quale accetta il significato di de Brosses) contro le ragioni dei portoghesi, nell’ambito di una disputa sulla storia, che declassavano le statuette della Madonna che gli abitanti della Nuova Guinea si facevano, delle due l’una diceva, non si può sostenere che un feticcio sia una volta l’icona da pregare e un’altra l’idolo da distruggere.

Il feticcio quindi ha un contenuto di verità vicino allo 0 (se escludiamo il significato di ciò che è, o meglio, il vitello d’oro era un vitello d’oro, materialmente parlando, ma il suo significato per gli ebrei era 0, mentre per i cananei era Dio, e non stiamo ancora parlando di “senso”, ma proprio di significato), vicino, ma non uguale. Ancora una noiosa notazione sull’etimologia, ma utile al caso, feticcio, sempre secondo Latour che si accorda al de Brosses (citato da wikipedia), pare essere collegato al fatum, destino, parola che da vita all’oggetto-fatato (fata= fée, objet-fée), da qui si arriva all’assonanza objet fée e objet fait, oggetto fatato – oggetto fatto, per superare la distinzione tra fatti e feticci. La parola è tuttavia l’incontro e lo scontro di due civiltà, quella occidentale, figlia dell’illuminismo e quella non occidentale, interpretare l’una con le lenti dell’altra sarebbe un grave errore dal quale Latour mette in guardia.

In tutto questo penso di avere confuso piuttosto che chiarito la figura del feticcio, ma era inevitabile per non cadere nel semplicismo. L’oggetto fatato quindi non significa nient’altro che sé stesso, ma ha un senso che lo supera, in quanto segno, questa cosa che lo supera potremmo definirla “fatità”, per non discostarci dalle parole di Latour, questa “fatità” appartiene al regno dei fantasmi psichici, è un’ elaborazione mentale che procede “creando” immagini. In questa sua propensione all’immagine il feticcio è già oltre la lingua, oltre la parola e si avvicina sempre di più al “fatto”, un bel salto per un oggetto quasi privo di significato. Il feticcio crea immagini e il feticismo è l’amore verso queste immagini create, immaginate, non ancora vere, da avvenire, da venire, forse. Siamo all’evocazione.

Una pagina tra le più belle, all’inizio della Recherche di Proust, mostra come una conchiglia di pasticceria diventi il fantasmatico motore che riporta l’autore nel suo passato, attraverso immagini, come sempre in Proust contrappuntate da morbosa sensualità, la piccola madeleine gli evoca “l’immenso edificio del ricordo”, in questo caso un’evocazione temporale che lo porta a “gustare” il tempo, un feticcio, un oggetto fatato-fatto. E l’urgenza di questa necessità è testimoniata anche da Roland Barthes quando leggiamo il suo “non c’è niente da fare; devo passare attraverso l’immagine”, quasi un epitaffio ai piedi del vitello d’oro. Riprendendo l’ovvia parentela tra linguaggio religioso ed erotico la deduzione impossibile da evitare è la classica donna = dea , presa fin troppo letteralmente da molte donne dedite al femdom. Se il feticcio, qualsiasi esso sia, lo stivale, la pelliccia, la scarpa, le calze o altro allude ad altro non può che alludere alla donna, nello stesso modo in cui il feticcio alludeva, senza rinchiuderlo nella totalità del simbolo, alla divinità. Già il passato ci ha mostrato simili altari per la donna, la quale comunque non ha certo migliorato la propria condizione sociale in virtù di questi, pensiamo all’angelicazione medioevale dei trovatori prima e del dolce stil novo poi, ma oggi sappiamo che anche questa era una “truffa”, nel senso che la donna veniva usata come medium per la divinità e non era lei stessa l’oggetto finale dell’ascesa mistica dei cavalieri cortesi.

Di fatto l’odierno pensiero delle comunità bdsm, molto spesso, tende a tradurre in gioco questa divinizzazione della donna, all’interno di quello che, con Deluze, non chiamo sadomasochismo, ma universo masochistico, che comprende comunque il o la dominante e il o la sottomesso/a. Ma divinità o non divinità, il meccanismo feticistico scatta lo stesso a causa del desiderio erotico (come scatta a maggior ragione verso colei o colui che, in amore, fugge) , scatta perché la donna si assenta in qualche modo. Il suo velarsi rivelandosi, il suo ritirarsi dall’esplicitazione sessuale, la distanza che la dominante crea (può valere anche per il maschio, ma storicamente è più rodato di fronte ad una coppia maschio schiavo e donna padrona, ciò non toglie che si possa comunque vedere la cosa anche da altra prospettiva) acuisce il desiderio, e il motivo credo sia comprensibile per tutti: ciò che non si può avere diventa fonte d’inesauribile passione.
E tolta questa parte noiosa, ma, a parer mio necessaria, penso di avere la strada finalmente libera per entrare nel merito specifico del processo masochistico. Però, la prossima volta.


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