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“Quant'è bella la crudeltà”
di kontemasok
17/02/2005 - letta 1220 volte

INQUIETUDINI DI IERI E DI OGGI: A TORINO UNA MOSTRA SUL MALE



Da Caravaggio ad Al Qaeda, da Beato Angelico a Diabolik, l'orrore è sempre meno ultraterreno e invade il nostro mondo quotidiano. Ecco artisti che guardano in faccia la dura realtà.
 
Salomè con la testa del Battista e il terrorista islamico che sgozza il suo ostaggio, le piaghe del Cristo morto e gli aerei dei kamikaze che si infilano nelle Torri gemelle, il martirio dei santi e la violenza di Alex nell'Arancia meccanica di Stanley Kubrick: c'è tutto il male del mondo nella mostra che si apre il 26 febbraio a Torino, alla Palazzina di caccia di Stupinigi. Una mostra shock che racconta, attraverso dipinti e sculture, fotografie, fumetti e immagini cinematografiche, la lunga storia del male dagli albori dell'età moderna fino ai giorni nostri.
Si spazia, come dice il curatore e ideatore, Vittorio Sgarbi, «da Beato Angelico a Diabolik».

Oltre 200 opere (descritte nel catalogo Skira) che disegnano una topografia del dolore e della perversione. Tutto vietato ai minori: chi ha meno di 14 anni potrà entrare solo se accompagnato. Il titolo recita: Il male. Esercizi di pittura crudele. Crudele perché è un'antologia di opere che guardano agli orrori dell'esistenza senza edulcorare nulla e senza cercare consolazioni. Un'arte disperata, capace di distillare l'orrore da tutti gli aspetti della nostra vita.

Non è infatti il male come astrazione, come concetto filosofico che interessa la mostra. È il male nella sua concretezza, il male che si incarna nell'individualità dei corpi e nella singolarità delle situazioni. A partire, appunto, da due opere di Beato Angelico: una Strage degli innocenti e un Cristo coronato di spine. Anche se, secondo Sgarbi, il punto d'inizio per la moderna storia figurativa del male è un altro: Il bacio di Giuda dipinto da Giotto nella cappella degli Scrovegni. La scena del tradimento, l'incrociarsi degli sguardi tra carnefice e vittima. Il momento in cui il male perde il suo carattere assoluto e diventa realtà che si esprime attraverso gli individui.

Dai mostri e dai diavoli che popolano l'immaginario medioevale si passa progressivamente, man mano che ci si avvia verso i tempi moderni, a una dimensione più quotidiana e meno leggendaria del male. Si inizia a scendere dai cieli del sovrannaturale per entrare nei labirinti della psiche. Infatti per Sgarbi, fra tutte le opere esposte, il male ha innanzitutto un volto: quello di uno sconosciuto, ritratto da Antonello da Messina in un quadro conservato a Palazzo Madama di Torino. Non sono le deformità e gli orrori, i «freak» e i corpi straziati, che pure abbondano in mostra, a dare il senso profondo del male nell'età moderna. È questo volto di anonimo, che ti guarda in tralice, con un sorriso beffardo e cattivo.
 
L'idea della mostra è nata dall'osservazione di un altro ritratto di anonimo firmato da Antonello, custodito a Cefalù. «Conoscevo questo quadro» racconta Sgarbi «ma, osservandolo meglio, mi sono accorto che era stato sfregiato con piccoli graffi sulla superficie. Come se qualcuno avesse cercato di cancellare la faccia dell'uomo sconosciuto e il suo sorriso enigmatico. Qualcuno, ho immaginato, a cui quell'uomo aveva fatto del male. Succedeva lo stesso nel Medioevo con i dipinti che rappresentavano il diavolo: sono pieni di graffi, perché, con l'immagine, il fedele cercava di cancellare il male. Ma ora il demoniaco si incarnava nel volto di un uomo».

Dallo sguardo malvagio degli uomini di Antonello si passa agli effetti della crudeltà. Le rappresentazioni dei martirii dei santi raccolte a Torino non sono quasi mai illuminate dalla luce della grazia. Sono immagini cupe, che insistono sullo strazio dei corpi e sul sadico accanirsi dei carnefici. Il vertice si raggiunge nel pessimismo assoluto di opere come il Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio, dove la santa non ha più nulla di santo e la redenzione non è nemmeno più un'ipotesi.

Ma anche altrove il martirio non sembra mai deventare un momento sulla strada del trionfo del bene: le teste mozzate, gli occhi strappati, i seni mutilati raccontano solo l'orrore della condizione umana.

In questo non sembra esserci grande differenza fra i temi religiosi e quelli profani: le tante Salomè con la testa del Battista virano sull'orrido esattamente come la mitologica Medusa di Pieter Paul Rubens. O come l'Apollo e Marsia di Tiziano, prestato dal museo di Kromeriz, nella Repubblica Ceca: una delle ultime e più inquietanti opere del pittore veneto, che raffigura, in un'orgia di colori accesi, il satiro mentre viene scorticato («Tratto dalla vagina delle membra sue» come diceva Dante) dopo avere perso la gara musicale con il dio. E, nella mostra, ai quadri con San Giovanni decollato seguono i video delle decapitazioni degli ostaggi girati dai terroristi islamici. Dall'arte alla cronaca, l'immagine delle teste mozzate diventa un simbolo del male ripetuto di secolo in secolo.

Sarà anche per la suggestione della cronaca che il fascino della morte sembra aleggiare su larga parte della pittura contemporanea. Rivissuto in chiave pop, come nella Electric Chair di Andy Warhol, che rielabora una fotografia della sedia elettrica del penitenziario di Sing Sing. Caricato di toni grotteschi e quasi fumettistici come in Visto in Cavendish street nell'87 di Lorenzo Alessandri. Ma anche riportato ad atmosfere di sapore quasi medievale, come nel recente (2003) Barathrum di Dino Valls, pittore spagnolo che è quasi una scoperta della mostra e nella cui opera il gelo delle tavole anatomiche pare unirsi alla sacralità delle pale d'altare.

A volte, tra antico e moderno, il cerchio pare chiudersi. Il teschio spolpato dalle mosche dipinto da Maurizio Bottoni ricorda certe rappresentazioni allegoriche della «vanitas» presenti in mostra. E lo stesso Bottoni, in un quadro pensato per l'esposizione torinese, ha deciso di riattualizzare il motivo del Cristo morto: ha sdraiato un Gesù grondante sangue su un tavolo d'obitorio, in un'atmosfera livida. Un tema ormai desueto in pittura: ma forse che The Passion di Mel Gibson non giocava allo stesso modo sulla violenza visiva?
 
Del resto, gran parte dell'immaginario contemporaneo passa attraverso il cinema e la fotografia. L'Arancia meccanica di Stanley Kubrick è forse la più aspra e meno moralistica riflessione del XX secolo sulla violenza. Dopo Kubrick, di meglio (anzi, di peggio) ci sono forse solo le immagini dell'11 settembre. Il compositore Karl Heinz Stockhausen fece scandalo definendole «la più grande opera d'arte mai realizzata». Lo accusarono di essere cinico e irriguardoso; ma ora quelle immagini, e quella frase, campeggeranno nella mostra torinese. A essere cinica e irriguardosa forse è l'arte stessa. Perché l'arte non può che essere crudele.   






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